APRILE

MA QUANDO ARRIVERÀ IL MOMENTO DELL’AMORE… NULLA POTRAI PER EVITARE CHE ESSO TI TRAVOLGA

E in aprile è tempo soprattutto di sciamature, cosa centrano queste con l’amore? Lo vedremo.
In effetti, la sciamatura è un rilevante problema dell’apicoltura, difficile da controllare anche perché molto spesso non lo consideriamo nel modo corretto. Non è un difetto delle api, bensì la manifestazione di quello che esse perseguono, anzi, quello che ogni essere vivente persegue: la perpetuazione della specie.

Ho scritto che esse perseguono, perché noi apicoltori abbiamo altri obiettivi, non che siamo l’eccezione rispetto a tutte le altre specie viventi, ma dalle api vogliamo miele, tanto miele, e questo con la riproduzione della specie mal si concilia, anzi, non si concilia affatto, e non può essere l’asportazione delle celle reali il solo metodo di contrasto. Infatti, quando la famiglia inizia l’allevamento di nuove regine la decisione è già presa, probabilmente riusciremo, anche se con fatica, ad evitare di essere travolti (dalle sciamature, non dall’amore) ma in questa fase gli alveari non producono perché tutti i loro sforzi sono tesi a quello che per loro è qualcosa di molto simile ad un innamoramento. Per essere meno poetici e più pratici le esploratrici vanno in cerca di nuove dimore, le ceraiole risparmiano le fatiche in vista della costruzione del nuovo nido, la regina viene messa a dieta in vista del volo di trasloco, le operaie oziano tranquillamente nell’attesa dell’imminente partenza (chi ha detto ce le api sono sempre operosissime? In situazioni come queste ignorano tranquillamente anche il più appetibile e copioso nettare disponibile).

In realtà, una certa attività di bottinatura prosegue ma essa è condotta con ogni probabilità dalle api che resteranno, immagazzinando il miele nel nido e ignorando il melario. È opinione diffusa che tutto questo sia preceduto dall’allevamento di fuchi, ma personalmente ritengo quest’ultimo fenomeno più che altro dovuto all’imminente arrivo della stagione degli accoppiamenti, e non significa per niente che la famiglia si stia preparando a sciamare.
Tutti questi sintomi si manifestano gradatamente ma quello che importa veramente è agire in modo che questo momento non arrivi per niente. In effetti, come per ogni essere vivente anche per le api (è più corretto in questo caso considerare l’alveare come un unico essere: un Superorganismo) arriva un momento in cui l’istinto alla riproduzione prende il sopravvento su ogni cosa; così come per un uomo o una donna arriva un momento nella vita in cui sente il bisogno di una compagna o un compagno per mettere su famiglia. In definitiva, volendo fare un paragone con noi esseri umani che ad una certa età anagrafica maturiamo sessualmente e siamo pronti alla riproduzione anche per le api avviene qualcosa di molto simile e completamente diverso allo stesso tempo: infatti l’alveare non ha un’età, non esiste un momento in cui è nato, esso potrebbe avere teoricamente anche migliaia di anni ma le api che lo popolano hanno sempre non più di qualche mese di vita.
Un’influenza di un certo rilievo l’hanno i rapporti tra api più giovani e api più anziane che, se squilibrato, accentua l’istinto a sciamare; anche l’età della regina, se non più giovanissima, sicuramente rende più probabile che l’evento si verifichi, ma principalmente la famiglia sciama quando ha raggiunto dimensioni tali da non giustificare un’ulteriore crescita, anche se l’abbondanza di nettare e soprattutto polline, che in primavera sicuramente non mancano, potrebbero renderla possibile. In parole povere, è una famiglia adulta che ha raggiunto la maturità per riprodursi. Quindi, quello che possiamo paragonare all’età degli altri esseri viventi non è altro che la dimensione della famiglia: tanto più piccola è, tanto più avrà un comportamento giovanile, con tutte le energie spese per lo sviluppo e l’accumulo delle scorte trascurando gli istinti riproduttivi. In definitiva, quando agli alveari togliamo api o telaini di covata non facciamo altro che portare le lancette del loro orologio biologico un po’ indietro nel tempo (magari si potesse fare qualcosa del genere anche con noi esseri umani!) Tutto questo a parole sembra facilissimo ma non lo è poi tanto perché è difficile individuare la dimensione dell’alveare che non dia problemi di sciamatura ed al contempo sia produttiva, questo dipende da molti fattori (anche genetici); possiamo anche ingannare le api facendogli credere che hanno ancora la possibilità di svilupparsi, lasciando a loro disposizione dello spazio o aggiungendo i melari.
Dopo tutto questo filosofeggiare sull’amore delle api molti si staranno chiedendo: ma in pratica cosa bisogna fare per indurre le api a fare quello che noi vogliamo? Innanzi tutto è di grande importanza continuare a livellare gli alveari sopra o sotto la norma: fino al momento della posa dei melari si possono togliere telaini con covata e darli alle famiglie che ancora manifestano un gap, io personalmente sono dell’idea che comunque per i motivi che ho spiegato prima non è necessario avere l’arnia con tutti i telaini completi, anzi, una famiglia su 7-8 telaini al massimo assicura allo stesso tempo alla regina la possibilità di deporre anche più di duemila uova al giorno e costringe le bottinatrici a depositare il nettare nel melario, essenziale per questo che i telaini siano quasi tutti di covata, eventuali sponde di miele vanno tolte, come pure telaini con troppo miele e poca covata che possono con profitto essere utilizzati per formare nuovi nuclei, e non bisogna aver paura di lasciare poche scorte, siamo abbastanza lontani dal circolo polare e nuove ere glaciali per adesso non se ne vedono!?; quando faremo questo, visto che coincide con l’inizio delle fioriture che produrranno il primo miele, aggiungeremo contemporaneamente anche i melari (in questo caso conviene comunque dare un’occhiata alle previsioni meteo, e se infauste rimandare di qualche giorno l’operazione).
Le famiglie potranno superare facilmente qualche giornata cattiva utilizzando le poche scorte che comunque restano nell’alveare, ma dopo l’inizio del raccolto in caso di avversità consumeranno un po’ di quello che avranno già stivato nei favi del melario, se conservassimo le sponde di miele nel nido del resto, sarebbe sempre il miele contenuto nel melario ad essere utilizzato per primo. Può essere utile lasciare nel nido, accanto all’ultimo telaio che ovviamente sarà di covata, un altro telaino con foglio cereo nuovo in maniera da dare la sensazione alla famiglia che anche nel nido ci sia ancora dello spazio, se la regina è molto vigorosa verrà costruito e riempito di covata, difficilmente vi sarà immagazzinato del miele soprattutto se nel melario superiore vi sono dei telaini costruiti ed ovviamente vuoti. L’importante e che nel nido non ci siano più di 8 telaini, compreso quello col cereo nuovo. Ovviamente, in questo caso l’escludiregina, che comunque andrebbe sempre messo, è indispensabile, visto che la famiglia l’abbiamo confinata su un numero inferiore di telai, altrimenti la regina salirebbe sicuramente nel melario visto che questo si trova in alto, il posto più caldo dell’arnia e quindi ottimo per la covata.
Spesso in questo periodo ci si ritrova con un numero di telaini da melario costruiti, insufficiente: in questo caso quelli con foglio cereo nuovo andrebbero messi ai lati, quando il raccolto lo richiederà verranno lavorati, ma adesso è importante che le api deputate all’immagazzinamento trovino vicino al nido di covata lo spazio per stivare il nettare, per non rischiare di far intasare il nido, in questo periodo infatti nelle ore notturne la temperatura scende sensibilmente e le api non sono molto portate ad allargarsi, almeno nelle prime decadi del mese. Altri melari vanno aggiunti con tempestività senza aspettare che il primo sia completamente pieno, bisogna considerare che stanno nascendo una quantità considerevole di api tale spesso da richiedere il secondo melario anche se il raccolto ancora scarseggia. In ogni caso, secondo il mio parere, ulteriori melari andrebbero messi sopra al primo e non sotto come è convinzione diffusa, sempre per il fatto che le api odiano gli spazi vuoti e se le condizioni non sono favorevoli esse tendono ad abbandonare le parti più lontane dal nido per tenere in caldo la covata e poi risalgono con difficoltà nel melario superiore quando le condizioni migliorano specialmente se il secondo non è costruito.
Sempre e comunque a disposizione per chiarire eventuali dubbi all’indirizzo francesco.pugliese@apicoltoripugliesi.it